Assaggi web: sempre più cibo, gli articoli degli altri in rete
Gli Assaggi di questa settimana: chef che restituiscono le stelle? La parola passa alla Michelin; uno studio intanto si occupa della rilevanza economica dei riconoscimenti della guida rossa, sempre di stelle si parla, e propone nuovi sistemi di valutazione; scrivere di cibo può essere un atto culturale? Sì, parola di Sam Sifton del NY Time; ristoranti in cima alle classifiche, quanto occorre “penare” per avere un tavolo?; il rapporto degli italiani col cibo visto dagli stranieri, tra regole di buongusto e chiusure. Buona lettura!
1) La notizia di cui tutto il web discute, o perlomeno il web che ruota attorno al cibo, è la stessa da qualche giorno: lo chef francese Stéphane Bras chiede di non comparire più nella Guida Michelin. Passato quasi in secondo piano l’annuncio di Bras, la notizia è ora il fatto che la Michelin, per la prima volta, abbia risposto dicendo che non è affatto scontato che la richiesta venga accolta. Pur nel rispetto della scelta, per voce di Claire Dorland Clauzel, la guida rossa si esprime chiaramente con frasi del tipo:
“il ne faut pas cuisiner pour le guide, mais pour ses clients.” L’intervista completa la trovate su L’Express e a questo punto l’attesa per l’edizione 2018 della Michelin Francia cresce sempre più.
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2) In Francia “l’affaire Bras” l’hanno preso molto sul serio, tanto che La Dépêche ha intervistato un professore di economia sull’argomento. Talento, stelle e resa economica di un ristorante visto come impresa, un taglio diverso alla questione. Indiscutibile l’impatto della Michelin sui conti di un ristorante, lo studio del Professor Olivier Gergaud lo conferma: maggiori incassi, aumenta la domanda, aumentano i costi e salgono anche i prezzi. Ritorna il tema della pressione quotidiana per chi cucina e la proposta del Professor Gergaud è di rivedere il sistema stesso di valutazione: avere stelle divise per categorie come bistrot, ristoranti di lusso e hotel. Vorrà dire più stelle e minor pressione? Possibile scenario futuro?
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3) Se quello di mangiare è un atto culturale, allora scrivere di cibo vuol dire scrivere di cultura. Un’attività non per tutti che richiede profonda conoscenza, senso critico, e capacità di raccontare. Così si inserisce Sam Sifton, food editor del New York Time, nel dibattito lanciato settimane fa da Corriere Cucina sulla scrittura di cibo, e l’argomentazione vola alto. Scrivere di cibo dovrebbe rispecchiare la società, afferma, e riflettere anche altri aspetti del vivere che interessano tutti, quali musica, design, economia, politica. Non solo si vola alto, diremmo noi, si rischia di precipitare se non si è adeguatamente attrezzati. Scrittori di cibo, e aspiranti tali, avvisati.
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4) Ristoranti primi in classifica e loro accessibilità, non solo economica, ma proprio come possibilità di riuscire a conquistarsi un tavolo. Un interessante test di Leonardo Romanelli sui sistemi di prenotazione di alcuni ristoranti in vetta alla classifica dei 50 Best: per il normale avventore, gourmet o gourmand che sia, occorre mettere in conto un’attenta pianificazione e anche dieci mesi di attesa, tra il momento della prenotazione e l’agognato pasto. E chi lo deve fare di professione come si organizza? La domanda rimane aperta.
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5) Almeno in una cosa, e senza tema di smentita, possiamo dire di essere grandi in tutto il mondo noi italiani: la cucina. Un primato che ci viene spesso riconosciuto e altrettanto spesso è uno, se non il principale, dei fattori di attrazione da parte degli stranieri. Questo primato comporta anche una sorta di “isteria italica” verso il cibo, che non sempre viene compresa. Buongusto o solo una nostra chiusura mentale? Succo d’arancia con la pizza? Una bella tazza di latte a conclusione della cena? Rabbrividiamo in molti. Ma non siamo esenti da critiche degli stranieri che, pur apprezzandoci a tavola, non comprendono ad esempio i pantagruelici buffet da aperitivo, a volte scadenti. Confronti cultural-gastronomici, sempre utili. Ne parla munchies.vice
- September 29, 2017
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