Accademia Gualtiero Marchesi, open day 2017
Via Bonvesin De La Riva, 5 e Gualtiero Marchesi. Un nome e un indirizzo, assieme un binomio che, senza cadere nell’enfasi, è carico di significato, o perlomeno rappresenta un bel pezzo di storia dell’alta ristorazione italiana. L’indirizzo è lo stesso dello storico ristorante di Marchesi degli anni ’70 che conquistò tre stelle Michelin, e l’uomo è sempre lo stesso, chef, cuoco come sarebbe meglio dire, ma anche artista e innamorato delle arti e degli artisti, “padre” professionale di chef noti e con una famiglia nella quale l’arte, in tutte le sue espressioni, la fa da padrone: Gualtiero Marchesi, per molti il Maestro.
Ora qui sorge l’Accademia Gualtiero Marchesi, fucina di talenti professionisti e palestra per cuochi gourmet amatoriali ma seri. Il 25 gennaio l’Accademia si è aperta alla città per farsi conoscere e presentare la propria offerta formativa, in breve Open day.
L’aula dove si tengono i corsi è piena, mi metto in fondo, sulle piastre a induzione due pentoloni di risotto iniziano a fare il loro dovere. Davanti vedo schierati il Signor Marchesi, sempre in giacca e cravatta, all’occhiello la spilla del mitico “riso zafferano e oro”, ed esponenti dell’Accademia. Prende la parola la direttrice, Anna Prandoni, per presentare i corsi, sopratutto quelli per gourmet. Si parte da “Primi passi in cucina” per rompere il ghiaccio e sconfiggere il timore reverenziale che potrebbe bloccare qualcuno ad entrare in accademia. Poi si passa a “Fondamenti di cucina” perché le basi sono la partenza per tutto. Marchesi stesso lo ribadirà, se possiedi la tecnica poi puoi fare tutto e da interprete trasformarti in compositore, se ne hai la stoffa. Tanti altri nuovi corsi sono stati inseriti dopo un primo rodaggio dell’Accademia, corsi di una lezione quindi modulabili e componibili in pacchetti. Corsi di Cucina con i piatti dedicati da Marchesi agli artisti. C’è un corso a sopresa che nemmeno Lui conosce, creato dal principale docente dell’Accademia, Fabio Zago, e dedicato al Maestro. Tra i più particolari anche Corsi di Food pairing, alla ricerca del perfetto equilibrio dei sapori, per dirlo in italiano.
Durante i corsi almeno una ricetta viene realizzata in postazione direttamente dall’allievo, magari sotto lo sguardo di Marchesi, giusto per lavorare “rilassati” ma anche lusingati da cotanto osservatore.
É la volta del Signor Marchesi, silenzio assoluto e tutti ad ascoltare. Dice tante cose, interessanti, ma oltre all’interesse quello che piace è l’entusiasmo. Parla del suo risotto e dell’espediente del burro acido, come chiave di volta per ovviare a difetti di esecuzione diffusi. Davanti a noi verrà preparato un “semplice” risotto al Parmigiano, unito solo alla fine e in pezzi, non in dosi massicce in mantecatura, se non un velo per arrotondare il sapore. Troppi risotti sanno troppo di Parmigiano, così disse il Maestro e gli astanti, forse alcuni, impenitenti esecutori o mangiatori di risotti iperconditi, annuiscono.
La soluzione del burro acido prevede un burro nel quale viene fatta sudare la cipolla, poi una spruzzata di vino bianco ed è quasi pronto. Si strizza e l’estratto acido si incorpora con burro crudo, si mantiene freddo e servirà per mantecare alla fine della preparazione. Con il burro così ottenuto si evita il soffritto e il rischio di bruciare la cipolla tostando il riso, oltre ad evitare pesantezze eccessive.
In fondo all’aula, esposti su un tavolo, una serie di torchi, Marchesi li mostra orgoglioso di questa collezione.
Quando ha iniziato dice che provava la suggestione della nouvelle cuisine che voleva “tutto sul piatto”, ma lui riscopre e mette in pratica il servizio al tavolo, dalla casseruola al piatto, il gesto in sala. Da qui la collezione di torchi: per i crostacei, per anitre, per chateaubriand. Cucina della forma la sua, della verità, quindi anche di concentrazioni della materia prima, i succhi e il sangue della carne stessa, non c’è nemmeno bisogno di altre salse, è tutto lì e preparato davanti al cliente. Ripenso al pollo in vescica da Bocuse, scenograficamente porzionato al tavolo, o al côte de veau intero e tagliato dal cameriere davanti a noi dai Troisgros, poi irrorato con una salsa, il gesto preciso del cameriere, direttamente da un pentolino in rame, e tutto torna.
Il Maestro continua la sua narrazione sottolineando l’importanza della spesa, della visita di persona al mercato, “guardando certi prodotti come si fa a non appassionarsi ?” dice letteralmente, e, da amante dei mercati, annuisco col sorriso stampato in viso.
Seguono racconti di viaggio, il mercato del Giappone il massimo per la ricerca sulla materia prima. “Se dentro hai qualcosa tutto ti può ispirare, una forma, un monte, un quadro” chiosa verso la fine, quando si parla di arte e di ispirazioni per un piatto; Pollock e le sue sgocciolature ad esempio come spunto di ispirazione, poi il piatto del dripping di pesce l’esito conseguente.
Su tutto conta anche la cornice, la carrozzeria, cioè il piatto della pietanza, che mette in evidenza la portata stessa; riso oro e zafferano senza il piatto col bordo nero, forse, non sarebbe lo stesso, perché un artista non trascura nulla.
Finisce così, applausi, il risotto è pronto, servito in ciotole per una consumazione rilassata in piedi, come al Marchesino nel pre-Scala, dove la ciotola di risotto allo zafferano prima dello spettacolo è un must.
Un calice di Ferrari, il perlage risale deciso lungo il calice; osservo i giovani che gli si fanno attorno, una foto, uno scambio, una stretta di mano, c’è speranza per il futuro. La battuta finale al Maestro : ” non vorrete fare tutti i cuochi, vero ?!? C’è bisogno anche di camerieri nei ristoranti !”. Come dargli torto?
- January 30, 2017
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