Bordeaux e i piaceri della tavola ( parte 2 )
Il giorno seguente si esce dalla città, strada per Saint Emilion cinquanta km a est di Bordeaux, ma prima la destinazione è lo Chateau de Pressac. Filari di viti a perdita d’occhio, già dieci km prima di arrivare, tavolozza di colori dal giallo paglierino al rosso fuoco, mozzafiato. Arriviamo tardi il gruppo è alla degustazione, la parte finale della visita, partiamo da quella e poi la visita a ritroso, sarà tutto più brillante o noi “brilli”, cambia poco. Davanti all’ingresso del castello un mastino nero senza catena, sdraiato, si alza appena ci vede, coraggiosi facciamo subito retromarcia, dopo cinque minuti lo vediamo a pancia all’aria mentre si fa trastullare da un gruppo di inglesi, la cautela non è mai troppa. Si trattava di una signorina a 4 zampe, Gaia.
Un rosé e tre rossi all’assaggio, tutti Chateau de Pressac St Emilion Grand Cru 2007, 2009, 2013. I bastioni del castello risalgono al XV secolo mentre il castello al 1850, acquistato da un ex manager Darty che ha imparato a vinificare nel mezzo del cammin della carriera. Curiosi i percorsi della storia che si dispiegano attraverso i cambi di proprietà di questi terreni. Nella cantina scopriamo botti da 20000 litri ognuna, ogni botte un vitigno separato, l’assemblaggio per le bottiglie avverrà dopo. Poi la visione di 400 barrique, 300 bottiglie per barrique, dalla vendemmia alla bottiglia due anni passano tutti. Imbottigliamento rigorosamente “sur place”, al castello. Siamo in collina, sotto un manto spettacolare soleggiato. Gaia ha capito che la visita è finita e si avvicina scodinzolante, non a caso, gli inglesi che ci hanno preceduto hanno avanzato qualche fetta di salame…
Si arriva infine a Saint-Emilion, un borgo in salita, case e tetti fitti, strade in pendenza lastricate, con il passamano al centro per evitare cadute. Negozi, ristoranti, qualche piccolo hotel, tutto è curato, caratteristico, come congelato in un’epoca passata, il pittoresco al quadrato. Potrebbe rischiare di sconfinare nello stucchevole, noi ce ne innamoriamo senza riserve, a costo di un eccesso di zuccheri.
Per pranzo si va a “Le Tertre” (5, Rue du Tertre de la Tente, 33330 Saint-Emilion), Michelin consiglia e difficilmente sbaglia. Conto adeguato, patron simpatico e amante dell’Italia, ci parla di un gustoso pranzo a Venezia, tanti anni fa, ma il ricordo permane. Ci servirà due piatti memorabili: un mezzo piccione ripieno di funghi e delle sue interiora e un soufflé al Grand Marnier comme il faut, da bere solo un calice di Chateau Pindefleurs 2008, senza alcuna pesantezza ma sazi, si prosegue.
Il ritorno a Bordeaux prevede il salutare “salto della cena”, la tregua a fegato e portafoglio è dovuta.
Un tè però rientra in un altro campionato, in un’altra fascia oraria, insomma un goloso ha molta fantasia per inventare pretesti. Si fa tappa a “L’autre salon de thé” (11, Rue des Remparts 33000 Bordeaux), servizio di porcellana inglese, ambiente da pasticceria viennese e servizio alla francese decontracté e con camerieri giovani carini e tatuati. Strano ma piacevole. Buoni sia il tè che le torte.
Il giorno dopo ancora in centro a zonzo guida alla mano e ombrello nello zaino, dove fortunatamente stazionerà la maggior parte del tempo.
A pranzo si prova Ramsey a “Le Bordeaux” in place de la Comédie, di fronte all’imponente teatro dell’Opera; andare al gastronomico al primo piano è fuori budget, l’offerta mangereccia del cuoco-imprenditore inglese, fortunatamente, prevede anche una brasserie, “Le Bordeaux” appunto, stesso contesto all’interno dell’ Hotel Intercontinental, ma carta e conto più leggeri.
Scelta abbastanza ampia, si opta per quello che in gergo si chiama plat signature: boeuf Wellington, una sorta di filetto in crosta, visto tante volte preparato dalle sue manine in TV, finalmente l’assaggiamo. Al sangue, morbidissimo, carne saporita, pasta sfoglia golosa ma che fa sentire tutta la sua grassezza, inevitabilmente, non gliene si può fare una colpa, il piatto è sontuoso per definizione, calorie incluse. Tra carne e sfoglia uno strato di ripieno che si sente poco come sapore, peccato. Il fondo bruno per condire ottimo, così come il purè e i fagiolini saltati e conditi con briciole di pane croccante. Assieme anche come spicchi d’aglio caramellati, golosi e pericolosi, faranno capolino in forma di reflusso per tutto il pomeriggio, ma con quasi venti chilometri a piedi percorsi in un giorno, anche le pietre sarebbero state digerire, l’aglio ha faticato ma c’è riuscito.
Come entreé uno dei migliori antipasti mai provati: lo “scotch-egg” complesso e saporito. Di fatto un uovo intero ricoperto da una sottile fetta di salmone affumicato, poi impanato e fritto, il rosso rimane ancora liquido, sopra uova di trota e sotto una freschissima insalata di finocchi, aneto e arancia pelata a vivo.
Il dessert Tarte au citron meringata con lo zest di limone confit, lo chef patissier è Arthur Fevrè, gioca in casa e non sbaglia il colpo, bella concentrazione, forse la pasta sotto l’avremmo amata più croccante, dettagli. ( continua..)
- November 28, 2016
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