Escatologia
Il fine ultimo dell’alta ristorazione, di tutta la ristorazione è la felicità degli ospiti.
Per quanto possa essere possibile, attraverso l’offerta di beni quali il cibo e di servizi quali l’ospitalità.
Cominciano subito i problemi di natura etica: nel mondo, ogni giorno, un miliardo di esseri umani
rischiano di non mangiare, nulla.
Loro potrebbero essere felici semplicemente mangiando e bevendo qualcosa, pane, acqua…
L’altra questione, rilevante, è capire che cosa è la felicità.
Sono state scritte milioni di pagine; poesia e prosa, trattati filosofici e scientifici….
Migliaia di risposte.
Torniamo al punto.
Sottopongo la domanda ad alcuni allievi della nostra scuola di cucina: le risposte sono svariate
e tutte significative, ma anche estremamente parziali; si rendono felici gli ospiti impiegando le migliori materie prime.
Applicando con perfezione da maestro le tecniche di cucina più adatte, svolgendo un servizio di sala accurato, garantendo la bellezza del luogo, la pulizia del luogo, rispettando i contratti dei lavoratori, proponendo la migliore cantina dei vini, facendo ricerca.
Nel loro insieme cercano di spiegare come rendere felici gli ospiti.
Possiamo consultare i più prestigiosi libri di ricette, leggere interi trattati di tecnica di servizio, imparare a memoria l’elenco dei migliori vini del mondo, sapere di psicologia del cliente, di strategie di vendita, ecc. ecc.
Una ulteriore riflessione è necessaria: gli ospiti sono in grado, emotivamente ed intellettualmente
di poterla cogliere, questa felicità?
La ricerca della felicità, a tavola, passa attraverso la capacità di scoprire, cogliere, conoscere, ri-conoscere
ricordare, elaborare profumi, sapori, colori, forme del cibo, collegarli a esperienze, a luoghi e persone
della memoria.
Secondo il più grande e famoso chef vivente l’approccio al cibo deve essere soltanto emotivo, lui che fa una cucina totalmente intellettuale, concettuale, di ricerca.
Un altro mi dice che lui cucina soltanto per emozionare.
Io la risposta l’ho trovata guardando un film, Il pranzo di Babette.
Lo chef, Babette, dice: quando davo il meglio, rendevo felici le persone.
E le rispondono, i suoi ospiti, ferventi credenti che lei, con la sua cucina, incanterà gli angeli.
Le chiedono se lo ha fatto per loro, i suoi ospiti; lei risponde che non lo ho fatto solo per loro
Nutrire e nutrirsi sono atti d’amore.
Fabio Zago
- July 14, 2015
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- 1ricettalgiorno, Anna Prandoni, cucina
laura
7 settembre 2015Sono d'accordo con te, Chef. Mi permetto di scrivere il mio pensiero. Credo che non esista UNA felicità: ognuno di noi la percepisce in modo diverso a seconda del proprio vissuto, delle posibilità economiche, del livello culturale.....
Chi opera nel servizio in sala, DEVE essere in grado di capire chi ha davanti, così da poter carpire il "tipo" di felicità di cui necessita.