Il miglior ristorante
Il numero di giornalisti gastronomi fuff-blogger recensori commentatori dilettanti supera il numero dei clienti di ristorante. Questo significa che molti commentano i ristoranti senza esserci mai stati.
Il numero dei ristoranti o più in generale degli esercizi commerciali che offrono in molti modi il cibo pronto supera il numero dei possibili clienti.
Il mondo è impazzito.
Il numero di guide gastronomiche è incalcolabile.
Gli eventi, le kermesse, i convegni, le assemblee di categorie e di appassionati, di amici, di foodisti, di goliardi, sono fuori controllo.
Tra le tante è diventata piuttosto famosa una classifica mondiale dei migliori 50 ristoranti del mondo. Il mondo è grande e i ristoranti eccellenti sono migliaia.
A condurre il gioco una multinazionale del cibo scadente. Il paradosso è clamoroso.
I criteri per definire i migliori ristoranti non esistono.
Si chiede a 1000 esperti mondiali di citare 7 ristoranti (4 della propria nazione e 3 esteri). Che, vado a memoria, si siano visitati negli ultimi 18 mesi.
I ristoranti visitati sono sempre quelli famosi, quelli “stellati”, visitati preferibilmente su invito (senza pagare). Sono quelli di cuochi amici, cuochi imprenditori senza scopo di lucro, cuochi con licenza di perdite.
Cuochi filantropi.
È un circo che si autoalimenta e autocompiace. Amen.
Senza ombra di dubbio sono tutti bravissimi.
Ma se dovessimo pagare, quale sarebbe la nostra scelta? Si possono fissare dei parametri, dei valori, dei requisiti oggettivi?
Credo di sì e provo a farlo come fosse un lungo zoom. Un progressivo avvicinamento.
Il ristorante è fortemente legato, indissolubilmente legato al territorio. Il luogo è importante.
Una grande e moderna città, una città ricca di storia e arte o un luogo dalla impressionante bellezza naturale. Oppure un luogo di forte tradizione gastronomica: Roma, Firenze, Capri, la Sardegna, le colline senesi , le Dolomiti, il Cervino. New York, Londra, Parigi. Alba, Mont St. Michel.
Oppure vale l’ingresso dell’autostrada che collega due piccole città, la sperduta campagna padana.
Ci avviciniamo e il ristorante si trova in un quartiere elegante e riservato, in un quartiere caratteristico, in un angolo affascinante della città o in una posizione panoramica ideale.
Entriamo e l’area di accoglienza e’ ampia e luminosa, dotata di spazi attrezzati (salotto, guardaroba, bagni).
Oppure è piccola, buia, sotto il livello stradale di una strada periferica e anonima?
La sala ristorante è ampia, micro climatizzata, illuminata da grandi vetrate e luce naturale. I tavoli eleganti e distanziati; le sedie comodissime. Tutto curato nei dettagli e, ovviamente, pulitissimo.
L’accoglienza, la cortesia, la professionalità, l’eleganza del personale è fondamentale. Il personale parla correttamente più lingue; le divise sono impeccabili, i movimenti del corpo, il tono della voce, le frasi di circostanza sono studiate e definite.
E siamo al menu: studiato nei dettagli, adeguato a soddisfare i diversi palati.
Ricco di narrazione, attento ai bisogni e alle preferenze della clientela. Vario, completo, stagionale. Piatti ben realizzati, cotture attente, presentazione elegante.
La carta dei vini e delle bevande viaggia di pari passo.
Il servizio di sala è impeccabile nei modi e nei tempi. Siamo alla ricerca della perfezione. Tutto scorre. Nessuno mi deve spiegare i piatti, nessuno mi dice come di mangiano. Nessuna fatica, nessuno sforzo intellettuale. Nessuna interruzione.
Due ore di felicità.
I saluti sono sinceri. Non devo per forza passare dalla cucina e scambiare pareri entusiastici con lo chef. L’esperienza è stata commovente. Entusiasmante.
Come Il pranzo di Babette, come Roberto Bolle che danza. Come leggere Cento anni di solitudine . Come guidare la Porsche, passeggiare con il mio cane, correre in bici, come un tramonto sul mare. Come Aretha Franklin che canta, come Jordan a canestro o Maradona in dribbling.
Il sipario cala. Domani si replica.
(Io pago il conto. Il cuoco non è mio amico. Anche se lo stimo!)
- June 23, 2016
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