La ‘stories’ infinita
Sono giorni che studio le stories di Instagram, dopo essermi inutilmente impegnata a capire e apprezzare snapchat.
La conclusione a cui sono arrivata è che il problema è generazionale.
E a parte alcune eccezioni (penso a Ilaria Mazzarotta o a Carlo Vischi, per esempio) credo che noi quarantenni e più, proprio non possiamo capire, e meno che mai praticare.
Ma, se per alcuni personaggi posso apprezzare, per altri mi manca sempre il senso.
Perché creiamo stories su Instagram? Perché quelle stesse foto non le mettiamo sulla normale timeline del social?
La risposta è di un amico instagramer – professione medico, passione pasticceria – Andrea Carlo Lonati: ‘Come creatore, uso quel canale come ‘indifferenziata’. Quello che mi piace e che voglio condividere ma non è un contenuto di qualità o non voglio che sia per sempre visibile lo metto lì’.
Noi ‘antichi’, noi creatori di contenuti di professione, noi antidiluviani cartacei, non capiremo mai, è ovvio. Per me un contenuto è pensiero, forma, sostanza, ma soprattutto persistenza. Non posso pensare di creare un contenuto che non permanga. Altrimenti è un contenuto che non vale la pena di creare. Ergo, non lo creo, e tantomeno lo condivido.
Invece, per i creatori 3.0, questo grande contenitore è un’enorme cartella bozze, una sorta di ‘prova’, un ricettacolo di emozioni intangibili, che durano giusto il tempo di un tap.
Avendo capito il mezzo molto meglio di noi dinosauri, lo usano per quello che è: volatile. Chi va a leggere i vostri status di fb o i vostri tweet o guarda le vostre immagini dopo soltanto due o tre giorni da quando le avete postate? Nessuno, a parte voi stessi. Quindi perché ostinarsi a costruire qualcosa che sia ‘per sempre’, quando la fruizione avverrà solo nell’istante della messa online?
La massa di dati e contenuti a cui siamo sottoposti è talmente vasta che non avremmo il tempo di vedere e apprezzare tutto quello che le persone postano: quindi se lo vedi in quell’istante, bene, se no non è più utile, non è più interessante, non è più necessario (posto che prima lo fosse!).
Quello che mi inquieta di questa massa informe di perenne racconto che svanisce come neve al sole è la costruzione.
Come si chiede David Mammano: ‘Raccontiamo la nostra storia naturale, o è l’esigenza di avere una storia il punto di partenza?’.
Rielaboro, dopo aver visto tante e tante stories: è la costruzione di una storia instagrammabile a guidare la vita? Questi influencer o aspiranti tali costruiscono la loro vita perché sia perfetta da postare?
Credo che per alcuni – orrore! – sia davvero così: quello che per noi era il ‘piano editoriale’, per loro è la pianificazione sistematica di ogni pranzo, di ogni merenda, di ogni acquisto o di ogni visita. E se per noi riempire le caselline di un file excel per capire che articolo avremmo scritto e quando, per loro questa pianificazione determina l’esistenza. Con il rischio, sempre più evidente e prossimo, di trasformare se stessi e la propria vita in un perenne Truman show digitale.
- February 22, 2017
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