L’antico pomodoro Riccio di Parma: una bella storia di riscoperta e biodiversità
Traversetolo (Parma). Domenica di festa d’agosto, tutta dedicata all’antico pomodoro Riccio di Parma: mercato, visita a un podere, convegno, l’oro rosso parmigiano, come lo chiamano enfaticamente da queste parti, è il protagonista. Dici pomodoro e pensi al sud: niente di più sbagliato e Parma smentisce il luogo comune. Ci troviamo accanto alle “terre verdiane”, dove l’enfasi da libretto operistico è di casa; unita alla convivialità della tavola e al suono di un accento che esprime gioia di vivere, rendono questa regione un luogo ideale per ritemprare spirito e corpo, la gola in particolare. Località che solo a nominarle aumentano la salivazione: se dici Langhirano o Felino, prima ancora che paesi, visualizzi prosciutti e salami, per non parlare dell’assonanza Parma-Pamigiano.
Ottocentesca come il melodramma è la storia del Riccio di Parma. Nel 2017 ricorre il 150esimo da quando l’agronomo Rognoni ne introdusse la coltivazione. Una varietà che oggi si vuol recuperare e diffondere, dopo essere stata abbandonata negli anni ’50, quando fu ritenuta poco idonea per gli standard di produzione dell’industria conserviera: ad esempio per il sistema di sostegni utilizzato per la coltivazione, che poco si adattava alla raccolta meccanizzata. Un bel tentativo di biodiversità salvata dall’oblio.
La sua carta di identità ce lo mostra come un pomodoro solcato, dalla forma ovale schiacciata, pelle sottile e sapore dolce che mitiga la nota acida. Particolarmente succoso e acquoso.
Emblematica è la figura di Carlo Rognoni: agronomo parmense, professore, intellettuale e sperimentatore anche fuori dalle aule scolastiche. Panocchia è la località dove sorge La Mamiana, la sua tenuta, in questa giornata aperta al pubblico per visite guidate e dimora storica tutelata dal Ministero dei Beni Culturali e del Turismo. La villa, la stalla e la conservera scandiscono il nostro percorso.
Restando in casa Rognoni, proprio uno dei discendenti del noto agronomo illustra i locali della villa: non senza humour inizia invitando a rimanere….concentrati, visto l’argomento pomodoro. La villa ha una struttura tipica: androne centrale, sale a sinistra e destra e una scalinata verso i piani alti. Dall’esterno una caratteristica torretta che nasce come torrione romanico, probabilmente di avvistamento, alla quale si accede dalle cucine. Il nome Mamiana deriva dai Conti Mamiani e fu proprio qui che Rognoni fece le sue sperimentazioni agrarie. Affreschi alle pareti, gradevoli senza essere capolavori unici: il carro del sole e una Diana che strizza l’occhio alle donne del Parmigianino. Oltre la corte centrale, la stalla, oggi galleria di documenti quali manuali di chimica e zoologia, autore il Rognoni stesso. Articoli di giornale commemorativi della sua opera. Recenti tesi di laurea sulla coltivazione del pomodoro dall’800 ad oggi a Parma. Non senza qualche almanacco storico/ironico come quello sul “ Passato del pomodoro”.
Rognoni, introducendo la coltivazione del pomodoro nella rotazione agraria, lo fece passare da pianta da orto domestico a coltivazione a pieno campo. Comprese anche l’importanza dello sviluppo di una filiera di trasformazione del prodotto, che desse sostenibilità economica; sua infatti anche la produzione di conserve. Non senza diatribe, in una terra di caratteri forti e volitivi: un altro personaggio storico per l’agricoltura parmense, Bizzozero, spingeva infatti verso la barbabietola come coltivazione e gli zuccherifici come impresa manifatturiera. Fine 800, rivoluzione industriale da una parte e crisi agraria dall’altra. La conservera era il laboratorio in cui il pomodoro veniva passato a mano con grattugie, per togliere pelle e semi, poi bollito in pentoloni e su tavolacci di legno messo ad asciugare al sole, per arrivare infine a un intenso concetrato, definito sestuplo! Si chiamava conserva nera, per via del processo di ossidazione che subiva. Veri e propri cilindri di conserva venivano poi avvolti in carta oleata. Il periodo storico era fervido di innovazioni e Rognoni seppe coglierle: un pasticcere francese, Appert, inventò la sterilizzazione sotto vuoto. La conserva sotto vuoto venne messa in barattoli di vetro, ed arrivò fino alla vetrina dell’ Expo di Parigi. Lo step successivo sarà la latta, ad opera di un inglese, Durand, subito adattata dal Rognoni per la conserva.
Packaging, diremmo oggi, dai colori forti, le latte color rosso intenso del pomodoro, i loghi di impatto visivo, facilmente identificabili, come l’alpino o il falco; anche ai numerosi analfabeti era consentito fare acquisti senza imbarazzi. Oggi un gruppo di agricoltori (ritratti in una gigantografia all’interno della conservera) hanno accettato l’avventura di munirisi di pali, fili di ferro e lavoro di raccolta a mano, dedicando parte dei propri poderi al recupero del Riccio di Parma, che rinasce così con oltre 40.000 nuove piantine. Sta quindi partendo la fase successiva della commercializzazione sia del fresco che della passata.
La festa continua in centro a Traversetolo: mostra fotografica, tra balle di fieno vere, immagini della raccolta del pomodoro. Trattori lungo il corso principale con l’iconografia classica della sagra contadina, alla quale si aggiunge una più urbana esposizione di auto Ferrari, la cui spiegazione possiamo azzardare con la vicinanza cromatica col pomodoro o l’emilianità della casa automobilsitica? Tutto il paese asseconda lo spirito di festa: gelaterie che offrono gusti ad hoc al Riccio di Parma, una dozzina di gazebo Coldiretti tra i quali anche un banco dove poter finalmente acquistare il prodotto fresco. Ovviamente non ci lasciamo sfuggire l’occasione e una cassetta è nostra; il tanto declamato oro rosso all’assaggio manterrà tutte le promesse di sapore e consistenza. Un prodotto della terra ritrovato che ci auguriamo abbia un pubblico sempre più numeroso, alla festa del Riccio di Parma 2018 allora!
- August 15, 2017
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