Le Soste 2017, la presentazione della guida e spunti di dibattito
L’associazione Le Soste ha 35 anni di vita e raggruppa ormai 85 aderenti, nel 2017 cinque i nuovi ingressi; la presentazione della guida di quest’anno, presso Eataly Milano, vede schierata una notevole squadra di cuochi, a partire dalla padrona di casa, Viviana Varese, che con il suo Alice ha sede proprio qui a Eataly.
Le sedute disposte sul palco, che richiama il fu Teatro Smeraldo, sono delle singolari balle di fieno. Il moderatore della serata, il giornalista Paolo Marchi, sottolinea la particolarità di questa vista d’insieme: chef pluristellati Le Soste accomodati in maniera rurale, si sa, il design a volte va interpretato e compreso. Nella sequenza di “sedute da fienile” scorgiamo: Claudio Sadler, presidente di Le Soste, Antonio Santini, vicepresidente, Viviana Varese, Moreno Cedroni, Angelo Valazza, ed Enrico Bartolini, membri da anni accanto ad alcuni dei nuovi ingressi quali Manuel Costardi (Christian e Manuel Ristorante), Patrizia Di Benedetto (Bye Bye Blues), Terry Giacomello ( Inkiostro ). Presente anche il Professor Cipolla dell’Università di Bologna, che negli anni ha curato le Introduzioni e i testi della guida, oltre all’editore Mario Cucci.
Chi ci legge potrebbe già sapere che cos’è Le Soste, ma non è detto, quindi un breve riassunto. Associazione nata nel 1982 da un manipolo di cuochi consapevoli del proprio valore, in quanto esecutori di una cucina d’autore, propulsivo l’impulso iniziale di Gualtiero Marchesi, e proprio un artista, Emilio Tadini, ne disegnò il logo. Una cucina, la loro, con un minimo comun denominatore: l’identità italiana forte e rivendicata. Periodici incontri per condividere idee, strategie e promuovere un circuito di ristoranti che non transigono sulla qualità in cucina e in sala. Un’associazione che ha rappresentato un vero biglietto da visita negli anni 80 per andare all’estero, soprattutto Francia, dirà Marchi; ai grandi circuiti francesi (Relais et chateaux, Les Grandes Tables) sicuramente si è ispirata. Associazione che si muove discretamente, pochi eventi ma sentiti, come afferma la Varese. La Guida stessa, stampate e distribuita gratuitamente, non ha ispettori e men che meno punteggi, sottolinea Sadler e, per arrivare meglio al pubblico, da quest’anno anche la versione digitale tramite App. Il consiglio si riunisce sempre per accettare un nuovo membro, i requisiti? Avere esperienza sul campo, possibilmente essere proprietario oltre che chef, per garantire continuità, e aver già avuto riconoscimenti a livello di guide “giudicanti”.
Dopo 35 anni di vita è tempo di consuntivi e di riflessioni. Passato e futuro sono un’eredità e un’opportunità, il primo da conservare e valorizzare, il secondo da anticipare, comprendere e interpretare.
Si discute di sala e del servizio, di giovani leve e del valore della semplicità, temi sempre sul tappeto e sui quali gli interventi possono fare da utile stimolo.
Il discorso sull’importanza della sala è al tempo stesso vecchio e nuovo; lo si è affrontato più volte, ma ancora non è risolto. E’ un caso o è un sintomo il fatto che su circa 30-40 curricula a settimana lo chef Cedroni ne riceva solo 4 o 5 per posizioni di sala? Ancora, tempo fa ad un congresso di cucina, ricordano Marchi e Cedroni, si provò a rilanciare e ridefinire la figura del cameriere, partendo dalle parole, che continuano a contare, si provò quindi a trovare un nuovo termine per definirlo. Risultato? Nessuno. Lo stesso Marchi con la sua creatura, Identità Golose, ha ritagliato uno spazio al tema, trovando una nuova declinazione al nome in Identità di sala. Persino uno chef può nascere in sala prima di approdare ai fuochi; Cedroni ne è un esempio vivente e definisce evoluzionisticamente la sala come l’anello di congiunzione tra cucina e cliente. Per Bartolini in sala ci vorrebbe un “George Clooney”, ci sarebbe il tutto esaurito ogni sera, fuori di battuta occorrono cura, servizio attento ma anche un supporto da parte delle istituzioni per riuscire a stimolare le persone che ricoprono il ruolo di cameriere. Giuste retribuzioni, corretta formazione, per farli sentire protagonisti; la ristorazione come una sceneggiatura che li veda attori e attivi, se non proprio dei novelli Clooney. Pienamente titolato a parlarne, sul tema interviene Nicola dell’Agnolo, maître di sala al Luogo di Aimo e Nadia: lo squilibrio tra i curricula presentati è sintomatico di uno squilbrio formativo, a fronte di diversi corsi per la cucina, scarseggiano quelli per la sala.
Che sia ai tavoli o ai fuochi, il futuro è dei giovani, sì ma quali giovani? Oggi la conoscenza sul mondo della cucina, sui prodotti, le tecniche, è sicuramente cresciuta e comunque più facilmente accessibile. In un contesto in cui mass media tradizionali, come la televisione, o nuovi, come social e web, bombardano di messaggi e contenuti legati al cibo. Come ne risentono le nuove leve? E’ stato interessante ascoltare visioni contrapposte: da una parte coloro che sentono i giovani come fin troppo sicuri di sé, hanno accumulato conoscenze tralasciando una sana dose di umiltà, pensano di sapere tutto e vogliono arrivare subito. Santini invece va contro corrente e ritiene che la situazione sia cambiata ma in meglio: i giovani oggi sono più aperti e ricettivi, occorrono buoni maestri che li stimolino, la fatica poi è una selezione naturale, ma chi resta vale. Sul tema tornano Cedroni e Varese per ribadire l’importanza delle basi; se non sai preparare uno spaghetto al pomodoro come si deve, è inutile che ti voglia cimentare in qualcosa di creativo. In tal senso una buona palestra è il pasto della brigata, saperlo preparare è importante: che sia semplice, veloce ma comunque buono e ben eseguito, per cucinare bene una brigata deve innanzitutto aver mangiato bene. La semplicità non è sinonimo di facilità, molto spesso anzi è un punto di arrivo.
Le Soste sono un ottimo spunto per ragionare sull’identità della cucina italiana. Hanno viaggiato e viaggiano gli chef presenti, il presidente Sadler innanzitutto, si sono così resi conto di quanto sia richiesta e amata la nostra cucina: tecnica ma soprattutto prodotti e semplicità la contraddistinguono nella sua grande varietà. La visione che gli altri hanno della nostra cucina ha rappresentato un ulteriore stimolo per tornare in patria e proporla con maggior convinzione. Nelle Soste, da piccolo, Cedroni vedeva la storia dei grandi nomi raggruppati sotto un’unica sigla, ora vede il futuro, merito di un’associazione che ha dato e ha ancora stimoli da dare.
La mantecatura del risotto di Viviana Varese è terminata, si chiude il dibattito non prima di una presentazione del piatto: una campana che vive a Milano da oltre trent’anni, Viviana Varese, offre un risotto cacio e pepe, dove il pepe in realtà sono pepi, un blend di sette tipi diversi. Un piatto nordico, in una ricetta del centro Italia, con l’aggiunta di un ingrediente per antonomasia del sud, un limone fermentato a dare una sferzata. Un’idea di cucina italiana varia e unitaria, esemplificata in un piatto solo.